Europa verde ed energia blu

L’energia nucleare, a seguito di un lungo iter decisionale, è stata inserita nella tassonomia dell’Unione Europea con l’ intento di sfruttarla per raggiungere l’ambizioso traguardo di neutralità carbonica posto dal Green Deal per il 2050.

Per tassonomia si intende un sistema di classificazione che stabilisce le attività economiche ecosostenibili allineate al fine del perseguimento delle cosiddette “emissioni zero”. Con il regolamento delegato 2021/2139 della Commissione, integrante il regolamento 2020/852, sono state incluse specifiche attività energetiche dei settori del nucleare nella lista che racchiude quelle economiche eco-sostenibili.

Secondo il Reg. 2020/852 ai fini della determinazione dell’ecosostenibilità di un’attività economica, è necessario stilare un elenco di obiettivi. Sono contemplati: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento e protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. Poiché persegua la mitigazione dei cambiamenti climatici, questa dovrebbe contribuire in modo sostanziale a stabilizzare le emissioni di gas a effetto serra evitando o riducendo tali emissioni o migliorandone l’assorbimento, cercando di essere coerente con il proposito previsto dall’accordo di Parigi. Un’attività economica che persegua l’obiettivo ambientale dell’adattamento ai cambiamenti climatici dovrebbe invece contribuire a ridurre o prevenire gli effetti negativi del clima ovvero il rischio di tali effetti sull’attività stessa, sulle persone e sulla natura.

Le massime istituzioni dell’UE hanno così formalmente dichiarato, senza fare troppo rumore, che  la controversa “energia blu” può giocare un ruolo nella lotta al cambiamento climatico, senz’altro la più grande sfida del nostro secolo. Ma perché energia blu? Semplicemente i reattori emettono una luce bluastra a causa del così detto effetto Cerenkov, contrariamente alla più frequente quanto errata rappresentazione verde fluorescente, ispirata alle vernici luminescenti al Radio226, presenti negli orologi dei primi del ‘900 e colpevoli di numerosi avvelenamenti letali.

L’energia si può rinvenire nella raccolta delle materie che rientrano nella sfera di competenza concorrente tra l’Unione Europea e gli Stati membri, è quindi sottoposta all’operatività del principio di sussidiarietà secondo il quale l’UE può intervenire in materia energetica solamente se capace di agire in maniera più efficace dei Paesi che la compongono. Questo significa che, allo stato attuale, la scelta sulla combinazione di fonti energetiche adottabile deve essere fatta al livello nazionale autonomamente, nel rispetto della salvaguardia ambientale. La legislazione dell’Unione si è quindi incentrata sul garantire i più alti standard di sicurezza delle centrali nucleari ed alla corretta gestione e smaltimento dei rifiuti radioattivi. Nel primo decennio del dopoguerra, gli Stati membri fondatori della Comunità economica europea (CEE, oggi evolutasi in UE) convennero nell’istituzione della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom). Tra i principali obiettivi del trattato Euratom, firmato a Roma nel 1957 ed entrato in vigore il primo gennaio 1958, vi sono: sviluppare le ricerche e assicurare la diffusione delle cognizioni tecniche, stabilire norme di sicurezza uniformi per la protezione della popolazione e dei lavoratori e delle lavoratrici, agevolare le ricerche e garantire che le materie nucleari non vengano distolte dalle finalità cui sono destinate per essere usate soprattutto a fini militari. Esso fissa parametri di controllo e gestione in condizioni normali, lasciando una limitata discrezionalità, ma fa anche riferimento a situazione di emergenza o di esposizione pianificata. Negli anni la produzione normativa si è estesa alla protezione dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, al trasporto e alla gestione dei rifiuti radioattivi, fino ai progetti di smantellamento e disattivazione. La totalità degli impianti nucleari nel mondo è sottoposta anche ad un pregnante controllo da parte dell’IAEA, l’agenzia internazionale per l’energia atomica presso le Nazioni Unite, che rende questo particolare settore energetico il più supervisionato tra gli altri.

La maggioranza degli esperti è concorde nel ritenere che il riscaldamento globale sia di origine antropica. L’aumento dei fenomeni meteo imprevedibili, l’acidificazione e l’aumento della temperatura degli oceani, l’innalzamento dei mari, lo scioglimento dei ghiacci e la riduzione della biodiversità ci dicono a gran voce che è necessaria una pianificazione di produzione energetica di lungo periodo che possa produrre in armonia con il Pianeta. Per raggiungere la neutralità carbonica, la scelta non può che non ricadere su un ponderato accostamento di fonti energetiche rinnovabili e a bassa emissione, utilizzate in combinazione per sopperire ai limiti delle rispettive tecnologie messe in campo.

Il nucleare si configura come un’alternativa a bassissime emissioni di carbonio e ad altissima efficenza confrontandolo ai combustibili fossili, oggi rappresenta circa il 25% di tutta l’energia prodotta nell’Unione. La fissione dell’uranio non produce emissioni di CO2, per questo si può considerare una fonte di energia pulita che può ricoprire una posizione importante nel processo di decarbonizzazione. Diversi enti internazionali hanno iniziato a riconoscere questo ruolo esplicitamente, l’UNECE (Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite) ha dichiarato ufficialmente che dal punto di vista del ciclo di vita ambientale, è stato dimostrato come l’energia nucleare sia a basso contenuto di carbonio, presentando anche un numero di co-benefici come una bassa occupazione e trasformazione del suolo ed un’elevata densità energetica degli elementi combustibili, riducendo al minimo l’area di estrazione per kWh. Un chilo di uranio contiene potenzialmente la stessa energia di mille tonnellate di gas naturale o di duemila tonnellate di petrolio. Questo significa che sarebbe possibile soddisfare il fabbisogno energetico dell’umanità con un ridotto consumo di materie prime. 

Inoltre il funzionamento delle centrali nucleari non è condizionato dalle condizioni atmosferiche  garantendo una stabilità energetica di base utile a compensare l’instabilità delle fonti alternative, compensazione spesso operata mediante l’utilizzo di combustibili fossili estremamente inquinanti. Per queste ragioni gli impatti sulla salute umana e sulla biodiversità sono da considerarsi complessivamente bassi. Tuttavia, a seguito dell’incidente del 1986 nella centrale del comune di Pripyat, più comunemente conosciuto come disastro di Chernobyl, avvenuto per l’erronea conduzione di un test di sicurezza su uno dei reattori, molti Paesi decisero di ritrattare la propria posizione sul tema. A riguardo si può citare l’Italia che, pur essendo leader e storico innovatore del settore, decise di limitare tale mezzo di produzione energetica attraverso un frettoloso referendum abrogativo (da notare che nessun quesito prevedeva direttamente o indirettamente la chiusura o l’abolizione delle centrali nucleari), indetto appena un anno dal suddetto disastro, di tutta risposta all’enorme paura e clamore generatosi all’epoca dei fatti. Altri invece, come i “cugini d’oltralpe”, hanno continuato a investire nella tecnologia fino a spingersi, come nel caso di specie, a renderla la principale fonte di energia utilizzata sul territorio. 

Attualmente nel vecchio continente sono in attività più di cento reattori, senza contare quelli dismessi o in fase di costruzione, ma alla fine del 2020 solo quattordici Paesi (su allora ventotto) godevano della loro produzione energetica. Se alcuni ne pianificano la costruzione di nuovi, altri stanno adottando programmi di chiusura e smantellamento spesso basati su fondamenti più di opportunità politico-economica che scientifica. La Germania per esempio ha deciso di sposare la scelta di chiudere le proprie centrali dopo aver investito ingenti somme sullo sviluppo dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, dei quali ora l’attività è fortemente limitata. L’ aggressione della Federazione Russa all’Ucraina sta spingendo alcuni membri dell’Unione Europea a modificare parzialmente i piani di disattivazione, a causa della riduzione dell’importazione di gas dall’Europa orientale e delle nuove esigenze di copertura del fabbisogno energetico. 

La trattazione del nucleare è da tempo al centro di controversi confronti politici, capace di spostare un gran numero di consensi e influenzare gli indirizzi governativi degli Stati membri, lascia intendere che difficilmente si avrà una politica unitaria collettiva in materia. A tutto ciò si aggiunge una comunicazione al pubblico non sempre trasparente e scientificamente orientata. È questo il caso  del disastro di Fukushima, protagonista di una narrazione mediatica catastrofica, ma di fatto causato da uno tsunami di tredici metri che sovrastando le barriere danneggiò alcuni reattori prossimi al mare. Secondo le fonti ufficiali dell’UNSCEAR (Comitato scientifico delle Nazioni Unite per lo studio degli effetti delle radiazioni ionizzanti) in questo incidente non ci furono individui contaminati in maniera grave e non ci saranno conseguenze gravi nel lungo periodo, le uniche due vittime registrate sono decedute per annegamento e crollo. 

A febbraio 2023 è nata un’alleanza per l’energia nucleare tra undici Paesi dell’UE secondo i quali il nucleare è uno dei tanti strumenti per raggiungere gli obiettivi climatici, generare elettricità di base e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento. La Francia con i suoi 56 reattori, leader della cooperazione, ha dichiarato che dal suo punto di vista l’impiego dell’energia da fissione non è negoziabile.

L’energia blu, se sfruttata coscienziosamente, ha tutte le carte in regola per aiutarci a perseguire i nostri ambiziosi traguardi climatici insieme all’esclusivo club delle rinnovabili. Le evidenze scientifiche ci dicono chiaramente che vivere nella disinformazione è molto più pericoloso che nei paraggi di una centrale. 

 

E le scorie? 

Per scorie si intendono rifiuti che contengono isotopi radioattivi e che non possono più essere riutilizzati o depositati in tradizionali discariche. È opportuno prendere atto sin da subito che molti dei rifiuti radioattivi provengono da industrie diverse da quella energetica, ad esempio possono essere di derivazione medica, di natura estrattiva o provenienti dalla ricerca, in ogni caso la quantità prodotta è limitata e facilmente gestibile.

Vengono classificati su di una scala di tre livelli di attività (bassa, intermedia e alta), in base al quale viene determinato il tipo di trattamento di stoccaggio necessario allo scorrimento del tempo di decadimento. Trascorso il periodo di decadimento potranno essere smaltiti come rifiuti normali. I rifiuti ad alta attività possono anche essere riciclati recuperando gran parte del loro materiale utile. 

Odiernamente abbiamo maturato una conoscenza e capacità tali da consentirci la gestione e il trasporto in maniera efficace e sicura. Per questo motivo l’Unione Europea con la Direttiva 2011/70/Euratom ha stabilito i principi che devono fungere da guida per le politiche nazionali sui rifiuti radioattivi, sul combustibile esaurito derivante da attività nucleari civili e per le norme sullo smaltimento. In attuazione, i rifiuti dovranno essere smaltiti nella nazione di produzione, ogni Paese deve dotarsi di un piano di gestione nazionale delle scorie e munirsi di un deposito definitivo. Nella maggior parte degli Stati questi centri sono già presenti, anche in paesi che non producono energia elettrica da fonte nucleare. Tutti i derivati dalle industrie generanti rifiuti radioattivi, dai primordi del nucleare ai giorni d’oggi, sono e potranno essere contenuti interamente nei singoli depositi nazionali. Questi siti hanno un’estensione ridotta e un impatto ambientale quasi irrilevante, tanto che nel progetto italiano e spagnolo figura la costruzione di un Parco Tecnologico attiguo, le cui attività stimoleranno la ricerca e l’innovazione nei settori dello smantellamento degli impianti nucleari e della gestione dei rifiuti radioattivi, creando nuove opportunità per professionalità di eccellenza. Nel 2022 la Commissione ha aperto una procedura di infrazione nei confronti di Italia, Croazia, Estonia, Portogallo e Slovenia per non conformità dei programmi alla direttiva 2011/70/Euratom. Attualmente il progetto del deposito nazionale italiano è stato completato ed è consultabile sull’omonimo sito web, ma la realizzazione si trova in una situazione di stallo nell’attesa della scelta del sito di realizzazione tra quelli individuati. Secondo le stime si ritiene che grazie alla sua realizzazione si genereranno circa quattromila posti di lavoro per la costruzione e dai settecento ai mille per l’esercizio, dando un’importante valore aggiunto alle comunità locali interessate.

A cura di Edoardo Giulio Rossi

 

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